Milano: considerazioni sulla comunicazione d’arte

Il week end appena trascorso a Milano lascia spazio a qualche riflessione interessante aldilà delle amicizie personali e della felicità nel rivedere cari amici e passare del tempo con loro. Ovviamente la mia “vacanza” era studiata al dettaglio per poter visitare più gallerie possibile. Da almeno 20 anni ormai, vista la mia esperienza in campo museale, non guardo più le mostre solo da spettatore meravigliato della bellezza dell’opera ma osservo anche tante altre cose: allestimento, luci e soprattutto testi.
In questa trasferta milanese ho esempi agli antipodi in fatto di comunicazione d’arte.

Partiamo dall’Hangar Bicocca, struttura industriale meravigliosamente gestita dalla Fondazione Pirelli, che accompagna a mostre qualitativamente alte (e spesso di mio gusto) una attività didattica per bimbi, cortesia e preparazione del personale di sala e di accoglienza ma, dulcis in fundo, una cura smisurata della parola scritta. I libretti di accompagnamento alle mostre che l’Hangar offre gratuitamente allo spettatore insieme all’ingresso, gratuito anche esso, sono dei piccoli capolavori. Biografia dell’autore, puntuale descrizione delle singole opere, dei materiali, analisi del concetto alla base della mostra stessa.

Secondo esempio virtuoso è Palazzo Reale dove questa volta ho potuto ammirare Mucha e le atmosfere Art Nouveau e anche I Simbolisti. Entrambe le tematiche mi piacciono veramente tanto ma è soprattutto la gestione dei contenuti artistici a fare la differenza. Testi snelli ma precisi, eleganti senza spocchia e citazionismo inutile si affiancano ad audioguide (comprese nel biglietto di ingresso) veramente preziose per la comprensione delle opere e approfondire epoche ed autori.

Ultimo esempio a fare da contraltare è la nuovissima Fondazione Prada, realizzata dalle strutture dismesse di una distilleria e restituita alla cittadinanza dopo un bel restauro (che però ha lasciato in alcune sale un odore niente affatto piacevole). L’ingresso costa 10 euro, all’entrata di ogni sala ci sono brochure sulle opere in mostra (temporanee e appartenenti alla collezione permanente). Questi testi sono assolutamente inutili per la comprensione delle esposizioni, o almeno lo sono nella loro maggior parte, dato che utilizzano un linguaggio troppo specifico e soprattutto, a mio avviso, si dilungano in lunghe riflessioni atte più a produrre la cosiddetta “fuffa” che a mettere lo spettatore in grado di capire. Esclusi alcuni pezzi che conoscevo già, nonostante la mia preparazione, ho trovato ostico capire certe cose che, devo ammettere, erano al limite della presa in giro. In aggiunta poche indicazioni sul comportamento da tenere nelle sale (cosa scontata per molti ma non per tutti) e poca comunicazione in genere. Insomma…molto rumore per nulla…o quasi.

Milano. Fondazione Prada

In sintesi: tra cattiva comunicazione e buona comunicazione c’è un abisso che fa sentire lo spettatore incluso o escluso. La mia esperienza mi dice che non tornerei alla Fondazione Prada salvo che esponga un autore o collettiva di grande interesse per me.
Ha senso costruire bellissimi involucri se poi non si vuole realmente condividerne i contenuti? A chi giova un testo oscuro? All’autore che si sente preparato come nessuno e forte delle sue affermazioni? Ma senza un pubblico che comprende le sue parole il lavoro è inutile e statico, non produce reazioni, non lascia memoria.

E l’arte stessa non è condividere un messaggio con gli altri, tramandarne il senso e conservarne il concetto nella nostra memoria e, per esteso, in quella collettiva?

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