Sorradile: un altro autogol per l’archeologia sarda

Il museo archeologico di Sorradile inaugura la mostra “Su Monte” il 31 gennaio 2015 alla presenza del sottosegretario alla cultura Francesca Barracciu per raccontare campagne di scavo, studio e musealizzazione di pezzi pregiati, testimonianza della civiltà che qui, accanto al lago Omodeo, si era stanziata raggiungendo traguardi elevati nell’architettura e nelle arti.

Fin qui  tutto magnifico e interessante peccato però che, in netto contrasto con la cura dell’allestimento e l’interesse suscitato dai pezzi esposti, la comunicazione della manifestazione sia da definire semplicemente disastrosa. La cura della mostra è stata affidata a Vincenzo Santoni, ex direttore della Soprintendenza archeologica di Cagliari e Oristano.

La brochure esplicativa, da lui redatta (quella per intenderci che un visitatore o un turista ricevono al loro ingresso), recita cosi: “il complesso insediativo di Su Monte assume rilevanza architettonica perla presenza di edifici distinti realizzati in opera isodoma con blocchi di trachite martellinata, i vani A,B, C, F addossati ad una muraglia di impianto tendenzialmente ellissoide E, pur essa realizzata con blocchi martellinati. Nell’insieme, il sito mostra di essere espressione di spicco di una ben acquisita cultura di villaggio, a partire dal Bronzo recente (1300-1150 a.C.); anzi di una ben solida cultura di villaggio del sacro, del tipo di S. Vittoria di Serri. L’edificio di spicco architettonico è incentrato in
una poderosa torre a tholos data dal vano A,preceduto da un atrio trapezoidale, alla
maniera della Capanna del Capo di S. Vittoriadi Serri. Ma l’edificio è ulteriormente distintoper le dimensioni dei resti della torre di m. 13 di diametro esterno, contro i m. 7,70 /7,80 didiametro interno e m. 2,50 circa di spessoremurario, con conci di dimensioni ragguardevoli;il vano interno si propone ulteriormente impreziosito dalla presenza di una vasca altare plurilitica al centro del vano A, già munita sulla spalletta perimetrale superiore di una eclatante mostra di spade votive infisse….etc. etc.”

Tutta la questione si dilunga esattamente su questo tono per altre due pagine. Io sono un archeologo e ho fatto estrema fatica a comprendere e visualizzare ciò che è riportato sulla brochure, posso immaginare chi non ha fatto studi in questo campo quanto sarà colpito dalle parole dell’ex soprintendente Vincenzo Santoni.

Come spessissimo accade in Sardegna ci si affida a persone, per carità magari autorevolissime nel loro campo, ma del tutto sprovviste della capacità di comunicare con un pubblico. L’archeologia in Sardegna ha da sempre questo difetto: è volutamente elitaria, incomprensibile, settaria nei confronti dei non addetti ai lavori, che però pagano un biglietto per visitare la mostra esattamente come tutti gli altri. Non hanno forse diritto di capire cosa stanno guardando anche se non sono archeologi? Non sarebbe forse meglio filtrare le informazioni da erogare su più livelli di specializzazione tenendo conto dell’utenza?

Parlo da archeologo, da fruitore e organizzatore di mostre e da comunicatore. Senza un pubblico che comprende i contenuti chi ha realizzato la comunicazione ha fallito in pieno la sua missione.

E spesso in Sardegna siamo tamente ancorati a questi luoghi comuni dell’archeologia per pochi eletti, di questi signoroni del sapere antico arroccati nelle loro cattedre monumentali e polverose, da non renderci conto che essi sono un danno per l’archeologia, allontanano il pubblico, respingono i media, si trincerano in mondi avulsi dal contesto contemporaneo. Non è questo certo il primo caso, basta pensare all’orrendo affaire dei Giganti di Mont’e prama e a come sia stata malgestita la comunicazione intorno alla loro “scoperta”; ma più in generale è un grave problema di tanta della comunicazione in ambito culturale, non solo un male isolano, vale per l’archeologia, per l’arte contemporanea, per il teatro. Una comunicazione così elitaria è segno di insicurezza e presunzione e contribuisce solo ad allontanare le persone dai luoghi della cultura.

Ho un altro ricordo di archeologia vecchia e settaria, risale ad anni fa, alla presentazione del bellissimo libro “Cagliari, le radici di Marina dallo scavo archeologico di Sant’Eulalia”, uscito nel 2002, che illustra lo scavo didattico gestito da Rossana Martorelli e Patrizia Mureddu nella chiesa di S.Eulalia a Cagliari. Uno scavo imponente e gestito con grande cura e piena collaborazione tra Soprintendenza e Università. Proprio Santoni era stato invitato a parlare del libro (a colori, bibliograficamente puntuale, con fotografie, schede tecniche, testi esplicativi chiari) e il suo intervento si riassume così: “I libri di archeologia non sono come questo, sono quelli in bianco e nero, con le note, che non strizzano l’occhio a tutti”.

Credo non ci sia bisogno di aggiungere altro.

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11 risposte a Sorradile: un altro autogol per l’archeologia sarda

  1. Sonia ha detto:

    Concordo in pieno,a volte bisogna studiare e tradurre il poeghevole o brochure alle svariate manifestazioni, a volte sembra di essere in classe dove nonostante il professore sappia bene la materia ma non riesce ad insegnarla….e visto l ultimo stralcio del tuo articolo….no comment

    • arrevexio ha detto:

      E io concordo con la tua visione scolastica…hai trovato un paragone perfettamente calzante. Il turismo in Sardegna meriterebbe maggiore accortezza e specie i nostri tesori archologici. Per fortuna so che in sede le visite guidate sono affidate ad una persona non sono titolata e competente ma dotata anche di grandi capacità di comunicazione

  2. Magnetica Ars Lab ha detto:

    A proposito di “sfatare i luoghi comuni dell’archeologia” ti segnalo questo post:
    http://www.cagliariartmagazine.it/diecimila-torri-la-civilta-nuragica-un-social-network/

  3. Magnetica Ars Lab ha detto:

    Concordo. A me pero’ sembra corretto sostenere una logica polifunzionale che possa cambiare nel tempo, sopratutto per i polilobati, e un unico motivo costruttivo di fondo per tutti i monotorre. Che in questo caso e’ l’esigenza di sorvegliare il territorio e anche di comunicare. Non ho visto in giro nessuna teoria convincente quanto questa per giustificare migliaia e migliaia di nuraghe.

    Mi sembra anche corretto, come avviene nel testo, chiamarli nuraghe e non nuraghi (rifiutando la logica autarchica di Taramelli e soci) perche’ se il loro plurale in origine e’ nuraghes, attribuendo al sardo la dignita’ di lingua straniera rispetto l’italiano, trovo giusto elidere la s come facciamo con molti altri plurali simili di uso comune… Computers, pullmans ecc.

    • arrevexio ha detto:

      s che nei casi da te citati non si possono proprio sentire 🙂
      sicuramente le strutture si prestano a multifunzionalità, lo si deduce anche dai resti di alcune lavorazioni metalliche o dalla presenza di cibi…Insomma uso e utilizzo non sono la stessa cosa.

  4. Systems Shutdown ha detto:

    Ok Giacomo, sono sicuro che prima o poi si avrà modo di approfondire meglio il discorso e parlarne anche di persona. 🙂

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