Le parole hanno un peso. La cultura digitale ha rivoluzionato il nostro modo di scrivere e di comunicare alterando notevolmente le tempistiche, il senso, la reattività delle persone alle comunicazioni.
Siamo invasi di stimoli e parole ma progressivamente stiamo perdendo una serie di elementi importanti come il gusto dell’attesa che ora, ridotta ai minimi termini, ci rende invece insofferenti e nervosi, il piacere della scrittura che racconta di chi scrive e parla a chi riceve aldilà delle parole stesse. Le caratteristiche uniche delle parole vergate di pugno, pane dei grafologi, vanno scomparendo, si fanno rare, obsolete, quasi ostinatamente sperimentali.
I tempi sono inevitabilmente cambiati portando un carico di innovazione apprezzabilissima e lasciando indietro aspetti ormai vicini alla sensibilità di qualche anno fa che a rifletterci bene sembra un’epoca remota, lontanissima, inafferrabile.
La busta chiusa nella cassetta delle lettere che attende di essere violata, il crepitio della carta, l’impatto del colore dell’inchiostro. Dettagli che il nostro occhio apprezzava come il disordine o al contrario la precisione calligrafica sono ora materia di studio per chi si occupa di comunicazione, lontane dal nostro quotidiano. Ciò che rimane è la sensazione che si stia andando avanti ma lasciando qualcosa indietro. Forse qualcosa resta sempre indietro nel momento di cambiare, di operare delle scelte sempre più dettate dalla necessità dell’efficienza immediata a scapito della maturazione consapevole.
Parliamo di scrittura come elemento identificativo del singolo, come il dna, come l’impronta digitale, come la scansione della retina. Parliamo di un aspetto peculiare e individuale a cui, volenti o nolenti, stiamo rinunciando. Quali siano le conseguenze di questa spersonalizzazione sarà oggetto di studio per i sociologi delle generazioni a venire ma già oggi possiamo affermare che una serie di comportamenti sociali siano incredibilmente modificati con l’avvento, l’uso e l’abuso della comunicazione digitale più fredda, sterile e manipolabile anche quando si compone di bei contenuti o frasi pregnanti.
La scrittura digitale, associata all’ascesa dei social network, ha fatto crollare parecchi tabù, ha esautorato le autorità professionali del settore costringendo a riscrivere le regole del gioco della comunicazione, spostando verso altri luoghi, quelli virtuali, la sfera dei sentimenti, delle relazioni, ma anche del giornalismo e della ricerca. Ha anche consentito di abbattere distanze sociali, economiche, razziali ma ha soprattutto modificato toni e contenuti delle parole rimettendo in discussione tutto.
Non so dire se sia un bene o un male consentire a chiunque possieda un pc la possibilità di dare opinioni anche su argomenti di cui ignora tutto, se sia giusto esporsi e sovraesporsi protetti dall’anonimato di un mondo fittizio, dove i filtri non esistono perché non si corrono rischi e le parole fluiscono libere e istintive.
E’ certamente una rivoluzione inarrestabile che lascerà inevitabilmente il suo tributo di vittime ma di cui non si può fare a meno. La scrittura diverrà a breve completamente digitale e le lettere appariranno un oggetto museale dal fascino retrò come una macchina per scrivere lo è ai giorni nostri. Mi chiedo che percezione avremo del nostro passato scolastico e universitario, noi, generazione sospesa tra parola scritta e parola digitata, se guarderemo con nostalgia il passato o verremo definitivamente rapiti dal nuovo che soprattutto attraverso il lavoro ci ha coinvolti in modo totale. O quasi.
Sono convinto che rinnovarsi equivalga a sopravvivere, a perpetrare il genere umano sulla terra e che la comunicazione sia un aspetto fondamentale per ottenere ancora un posto sul pianeta. Il mio unico dubbio è che la rapidità nevrotica di queste comunicazioni e le altissime aspettative che nutriamo verso noi stessi e il progresso che ci circonda creino un corto circuito, un blocco nella memoria della macchina uomo che non si è evoluta affatto di pari passo con la tecnologia. Diventeremo noi stessi obsoleti esempi di un homo sapiens troppo lento per gli strumenti da lui stesso inventati? In quel caso l’estinzione è dietro l’angolo e di noi rimarranno milioni di conversazioni digitali, di parole affidate all’etere su supporti che diverranno troppo vecchi e andranno a perdersi facendoci dimenticare.
Niente di nuovo sotto il sole, quando brucia la carta o l’acqua la bagna le parole si perdono comunque. E’ proprio dell’uomo tentare di cambiare, di adeguarsi, di distruggere e di perdersi.
Le parole hanno un peso che va ponderato, l’immediatezza le svilisce e le rende vane, ritrattabili, cancellabili, in definitiva meno memorabili. E chi non ha memoria di sé e degli altri è destinato a scomparire.