Carte Blanche

La Fondazione Bartoli Felter ospita nella galleria di via  XXIX novembre 1847 “Carte Blanche”, collettiva d’arte che include  le straordinarie opere di Enrico Corte, Andrea Nurcis e Sergio Raggio.

Ciò che segue è una mia modesta riflessione sul percorso dei primi due artisti, frutto di una chiacchierata in galleria e che a malincuore non include la validissima opera di Raggio in quanto assente.

Enrico Corte è artista eccletico, non classificabile perché sfugge ogni definizione lavorando su supporti estremamente diversi tra loro e con tecniche molto differenti. L’artista ha scelto di portare in mostra solo alcune delle opere del periodo romano (come tanti, anche lui ha varcato il mare in cerca di aria nuova) eccezion fatta per un concept di autoritratti seriali dal titolo “Selezione di disegni della serie 250 Mele Marce” eseguita su materiali vari tra i quali la carta da macellaio, sportelli in metallo, contenitori. Gli autoritratti datati tra 1978/79 rivelano tutte le potenzialità espressive di Corte e raccontano, con silhouette oscure o delicati segni pastello che anticipano certi lavori della contemporanea street art, un giovane osservatore acuto e attento ai dettagli che nel loro piccolo divengono elementi parlanti ed estremamente narrativi. Il periodo romano è sperimentazione a tutto tondo che va dall’esposizione di “Reliquia” scatola minimale che contiene bozzetti, scene e prove del complesso lavoro video “No Light” che risale agli anni ’80 e l’ installazione plastica “Io sono con voi, io sono avanti a voi“ che attinge dall’attualità contemporanea dei viaggi della speranza di tanti migranti e che l’artista ha intitolato così per non dimenticare che anche lui è stato ed è tuttora migrante tra l’Italia e New York. L’opera è composta da una base su cui si inserisce un galleggiante bianco da barca e su cui si innesta come una vela o un cannocchiale un disegno dell’artista ititolato “Il Disegno Galleggiante“. Il forte valore simbolico si presta ad interpretazioni visive diverse, ricorda come pulizia e compostezza quasi un vaso greco, il galleggiante riporta ad una cronaca dolorosa, è elemento salvifico ma contemporaneamente, per influenza della tragica realtà di tante morti in mare appare anche come un’urna funebre. Altre tre opere sono presenti a completare un viaggio introspettivo e dal forte impatto: “Intericon Rendez-vous” e “Intericon Warmth“ disegni a carboncino realizzati su cartoni acquistati dagli homeless di Roma e che, se venduti, vedono l’incasso diviso tra Corte e il fornitore clochard. Il cartone conserva la sua storia, i timbri di viaggio, i segni del percorso ma anche le tracce organiche, l’esperienza di strada del clochard che lo utilizzava a cui si aggiunge una storia sottile, concettuale ed esplorativa del mondo fetish realizzata per aggiunta o sottrazione. A chiusura della mostra la grande botola utilizzata in un’altra performance intitolata “Storyboard “che ai margini conserva l’intero storyboard della performance e che, per sua stessa natura, protegge un mistero dietro i suoi battenti mantenendo l’illusione di una dimensione altra e ambivalente sospesa tra suggestione concettuale, pittorica e fascino materico.

Percorso influenzato da un lungo e complicato iter artistico e architettonico è il lavoro firmato da Andrea Nurcis, che offre al visitatore opere di grande impatto visivo. Nurcis lavora su concetti estremamente interessanti, le sue sculture tridimensionali conservano il sapore dell’estrazione, si protendono verso il visitatore in tutto il loro impatto materico imponendosi alla vista con forza. Pannelli bidimensionali o a tutto tondo che mostrano il materiale con l’orgoglio dell’archeologo, manipolati, resi vivi. Le opere sembrano estratte da edifici, da contesti spaziali definiti dove le forme si intersecano in ambientazioni più ampie e di cui divengono portavoce e simboli. L’aspetto pittorico attinge da sensazioni vicine alla compostezza immaginifica del Medioevo, alla ieratica potenza degli ori di Bisanzio ma contemporaneamente si aggrappa saldamente alla realtà per il suo aspetto industriale (penso alle famose Torri di Kiefer). In “Trinità dei buchi”, per esempio, il colore oro supera la dimensione pittorica e quella simbolica per divenire sostanza viva, dotata di propria volontà e lasciata addensarsi e colare liberamente dall’artista. I buchi nei pannelli alludono alle ferite delle iconografie cristologiche, tagli dimensionali ispirati al classico ma vicini alla sensibilità provocatoria dei celebri lavori di Lucio Fontana. Un amalgama equilibrato di eleganza e decadenza anche nel lavoro intitolato “Krl”, il nome fenicio della città di Cagliari, che si offre in un blocco di cemento agli occhi di chi guarda con le sue viscere d’oro. In sala anche due sculture molto differenti dalle altre ma altrettanto ispirate in cui personalmente trovo legami non solo con i toys di impronta street art, con il fumetto d’autore francese e con certo gusto per il materiale industriale di artisti come Beuys ma ancora una volta anche col passato. Il viso di una delle sculture ricorda infatti le icone sacre medievali femminili, Madonne composte, imperturbabili, dal viso perfettamente ovale e senza sopracciglia ma calate in un contesto contemporaneo. Il risultato è un non tempo che abbraccia passato e presente con grazia e ruvida eleganza.

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